Le liberalizzazioni

Liberalizzazioni o programmazione? In medio stat virtus


Da anni è stata recepita nel nostro ordinamento la "Direttiva europea servizi" (Bolkestein) che stabilisce il principio di libertà di insediamento delle attività economiche all'interno dei paesi dell'Unione Europea. L'apertura o la modifica di una attività economica non dipende da una benevola concessione delle pubbliche autorità, ma è un diritto del cittadino, che può essere limitato o condizionato dalla pubblica amministrazione soltanto in casi particolari, previsti dalla Legge dei singoli stati membri, per tutelare motivate e prevalenti esigenze di interesse generale, o comunque per proteggere "valori" di superiore interesse pubblico (sanità, pubblica sicurezza, ambiente, ecc.)


La prima, più evidente e più logicamente comprensibile conseguenza di questo principio: è illegittimo qualunque provvedimento, o comportamento della Pubblica Amministrazione, a qualunque livello, anche legislativo, che faccia dipendere l'attivazione o la modifica di un’attività economica dalla verifica dell'esistenza di una situazione che consenta di iniziare un'attività senza sottrarre potenziale mercato ai concorrenti, o che metta gli operatori esistenti in condizioni di vantaggio rispetto a nuovi operatori che vogliano entrare nel mercato, o che subordini l'apertura di una nuova attività al consenso, esplicito o implicito, o anche solo al parere dei concorrenti.


Le applicazioni del principio di libera concorrenza sono piuttosto intuitive ed hanno consegnato all'ambito dell'illegittimità tutte le varie forme di contingenti, indici di densità, limiti di quote di mercato, distanze, limiti territoriali di operatività, ecc. La legge ha imposto ai vari enti di rimuovere tali disposizioni, sancendone automaticamente l'inapplicabilità oltre la data del 31/12/2012 nel caso di mancata modificazione.Il discorso diventa molto più complesso quando si affrontano le norme limitative non finalizzate alla tutela della libera concorrenza, ma alla tutela degli altri interessi preminenti di ordine generale (in primis la normativa urbanistica).

 

La maggioranza dei paesi dell'UE non ha ancora dato attuazione alla Bolkestein o l'ha applicata solo in modo parziale senza subirne alcuna conseguenza, il che significa che l'applicazione in modo generalizzato della liberalizzazione indiscriminata non è un obbligo "imposto" dall'UE come il fiscal compact, ma è una precisa scelta politica di ogni singolo stato membro.

 

In Italia, dopo il recepimento della Bolkestein si sono succedute per circa 3 anni una serie di norme (DL 201/2011, DL 1/2012 e DL 5/2012), che hanno tentato di definirne i limiti e le modalità operative, essenzialmente attraverso la definizione delle eccezioni, cioè degli interessi generali di ordine prevalente che consentono l'applicazione di talune limitazioni, nonché dei relativi criteri di applicazione.
Sia sull' individuazione dei valori ed interessi superiori che consentono l'applicazione di limitazioni, sia sui criteri di valutazione di tali interessi, le cose sono tutt'altro che chiare.

 

Alcuni "valori" sono inequivocabili, (tutela della salute, difesa nazionale, sicurezza pubblica, tutela dell'ambiente, tutela dei diritti dei lavoratori, ecc.), per altri si pongono sia problemi di definizione che di "misurazione" del livello di messa a repentaglio del " valore" da tutelare tale da giustificare le limitazioni.

 

Alcuni "valori", proprio in quanto tali, si prestano ad una lettura e ad una definizione estremamente dipendente dalle opinioni politiche, etiche, giuridiche, scientifiche e persino religiose di chi deve interpretarli, e sono privi di una definizione giuridica che sarebbe assolutamente necessaria a poterne trarre delle conseguenze come l'assoggettabilità o meno a limitazioni e programmazione..
Ancora più discutibile è il principio, contenuto in molte norme, che la pianificazione o l'adozione di limitazioni, sia l'ultima ratio, applicabile solo quando non esistono altre soluzioni possibili. É un criterio da conservatorismo assoluto e con discrezionalità impressionante. Il mondo cambia più velocemente di quanto non si accorgano i legislatori, e le soluzioni impossibili oggi potrebbero diventare possibili domani. Inoltre quasi ogni problema ha una soluzione, ma dipende da quanto costa.

 

A chi spetta, se non all'imprenditore, stabilire quando una soluzione sia troppo costosa per poter essere considerata possibile?

 

Si ricade nell'arbitrio più totale, con cui un decisore (politico) iperliberista potrebbe giudicare qualunque soluzione troppo costosa e quindi impraticabile, optando per la rinuncia a qualunque forma di regolamentazione, mentre un altro, di mentalità statalista, potrebbe ritenere che ad un imprenditore si possa caricare qualunque costo, al di là della sostenibilità economica e quindi costringere sempre a procedure programmatorie logoranti e spesso generatrici di corruttela.

 

Minori problemi per la tutela di valori più misurabili, quali l'impatto viabilistico o gli aspetti ambientali. Qui si dispone di procedure più oggettive e trasparenti, quali norme tecniche, protocolli e parametri da rispettare.

Purtroppo, in molti casi la trasparenza si ferma alle procedure, ma i parametri applicati sono spesso cervellotici ed obsoleti, per cui la "scientificità" delle procedure è un semplice specchietto per le allodole. In caso contrario, ad esempio, non si spiegherebbe perché lo stesso numero di metri quadri di vendita di un centro commerciale dia luogo a stime completamente diverse sul numero di veicoli attratti o sugli spazi di parcheggio necessari in due regioni diverse, anche se confinanti.

 

La risposta è semplice: gli algoritmi matematici di calcolo degli impatti possono essere perfetti, ma se i dati di partenza (es: quanti veicoli attira ogni mq di vendita) non sono frutto di accurate (e aggiornate) ricerche, ma di semplici supposizioni  i numeri finali avranno ben poco a vedere con la realtà (come dicono gli informatici, "garbage in, garbage out").

 

In soldoni, si potrebbe concludere che:

 

- La liberalizzazione assoluta non è praticabile, perché certamente esistono valori superiori e che il rispetto di tali valori tutela non soltanto la comunità in generale, ma anche e soprattutto gli imprenditori seri ed onesti.

- L'individuazione di tali valori, e soprattutto di come tutelarli, non può essere lasciata al caso ne alla discrezionalità dei politici e neppure dei tecnici. Spetta al legislatore trovare delle soluzioni chiare, trasparenti ed equilibrate, sostanzialmente uniformi su tutto il territorio nazionale, perché si tratta di una materia che attinente ai diritti fondamentali dei cittadini, diritti che non possono cambiare in rapporto alla regione di residenza.

 

- Last but not least: prima di scrivere leggi ricordarsi di attivare il cervello. Le scelte sui principi generali e i diritti sono e devono restare di natura essenzialmente politica. Quelle sulle modalità applicative hanno una natura squisitamente tecnica, che richiede la capacità di prevedere gli effetti e i risultati della proprie scelte. E questo a sua volta richiede un lavoro approfondito di studio e ricerca sul quale in Italia, siamo davvero molto indietro


 



 

 

 

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