Le liberalizzazioni

L’obbligo di motivazione


Un principio generale del diritto amministrativo  è che gli atti vanno motivati.

 

Tale principio si riteneva generalmente limitato ai provvedimenti di tipo applicativo ed esecutivo (delibere, ordinanze, regolamenti, ecc.), ma non agli atti di tipo generale programmatorio, che si ritenevano espressione della discrezionalità  degli organi elettivi (ovviamente sempre nel rispetto delle norme di legge e dei principi di logicità e proporzionalità).

 

L’introduzione della Bolkestein e dei principi di liberalizzazione ha portato ad una sostanziale riduzione di tale discrezionalità, per cui la deroga ai vincoli della libera iniziativa non può essere esercitata in maniera del tutto discrezionale o motivata in maniera generica (scelte politiche o strategiche, rispondenza ai programmi generali di una amministrazione, ecc.).

 

E’ quindi emerso un diverso orientamento, che assoggetta ad obbligo di motivazione anche gli atti di tipo generale, programmatorio ed indirizzo, e quindi i piani urbanistici e gli strumenti generali di programmazione.

 

Il punto di svolta nella esplicitazione di tale orientamento è stata la sentenza della Prima Sezione del TAR lombardia del 10/10/2013(N° 02271/2013 REG. PROVV.COLL- n° 00308/13 Reg.RIC), che ha annullato la determinazione Prot. 45356 del Comune di San Giuliano Milanese che aveva negato l’autorizzazione all’apertura di una media struttura di vendita in base al fatto che il vigente PGT, nella zona in oggetto non sono consentite strutture di vendita superiori a 600 mq.
Il tribunale non ha contestato in linea di principio la facoltà di inserire in un PGT delle norme limitative alla dimensione massima degli esercizi, ma ha rilevato che tale limitazione, entrando in conflitto con i principi generali di liberalizzazione, e non essendo, almeno apparentemente, derivante di motivi imperativi di carattere generale individuati dal D.gs 59/10, avrebbe la natura di disposizione pianificatoria con prevalente finalità economica e quindi non consentita.

 

Ha però fatto presente che il giudice è ora chiamato a sindacare la legittimità degli atti …..con l’obbligo molto più penetrante di quello che si riteneva essere consentito in passato, e ciò per verificare , attraverso un’analisi degli atti preparatori  e delle concrete circostanze di fatto che a tali atti fanno da sfondo, se effettivamente i divieti imposti possano ritenersi correlati e proporzionati a effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinario assetto del territorio sotto il profilo della viabilità, della necessaria datazione di standard o di altre opere pubbliche………

 

Di qui le censure di carenza di motivazione e di illogicità.

 

L’importanza di tale sentenza sta nel prendere atto che il contrasto con i motivi imperativi di carattere generale può essere riconosciuto in presenza di adeguata motivazione, ma che tale motivazione non può riferirsi a semplici enunciazioni di principio, ma deve essere supportata da una specifica istruttoria che evidenzi la situazione- (concrete circostanze di fatto) e che dimostri che i vincoli posti costituiscono un effettivo elemento di tutela dell’ambiente urbano ( o degli altri valori la cui tutela costituisce un motivo imperativo di carattere generale).

 

Le conseguenze

 

La logica conseguenza di questa nuova impostazione è l’obbligo di motivazione di tutti gli atti, anche di carattere generale, che pongano limitazioni o dinieghi allo svolgimento di attività economiche per le quali la Direttiva Bolkestein stabilisce il diritto di libera concorrenza.

 

La non rispondenza agli strumenti di pianificazione generale del Comune non è una motivazione sufficiente, ammenochè detti atti di programmazione non contengano una adeguata motivazione dei vincoli stabiliti, suffragata da adeguate analisi dello stato di fatto e dalla indicazione della correlazione tra lo svolgimento “non regolamentato” dell’attività e il contrasto con uno o più dei “valori” di ordine superiore da tutelare.

 

Ovviamente la motivazione può essere anche contenuta, anziché nella parte dispositiva dell’atto, negli studi, relazioni e analisi preliminari all’atto stesso. Tali studi, qualora non siano inclusi come parte integrante dell’atto, debbono quantomeno essere citati nelle premesse o nel dispositivo dell’atto stesso.

 

Debbono altresì essere esplicitate, o comunque chiaramente comprensibili, le connessioni tra le analisi che motivano una prescrizione e la prescrizione stessa.

 

 

 


 

 

 

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